Luigi Giffone racconta Luigi Giffone

€ 35.00

Architetto -Velista -Passionate bushy-beard man

In occasione del mio ottantasettesimo compleanno i miei carissimi amici, nonché colleghi, Carlo e Ludovica Sanseverino di Marcellinara (Ludo ha lavo-rato con me sia in Inghilterra, sia a Milano e negli anni Novanta lei e Carlo contribuirono alla comune iniziativa Tropea Fenice) mi consegnarono un bi-glietto di auguri insieme al numero di telefono di una ghostwriter - tale Marika - che un bel giorno fece la sua apparizione con tanto di registratore, raccolse una ventina d’ore di mie confessioni e poi, nomen omen, da buon ghost qual era sparì. L’unica prova della sua manifestazione fu un plico che mi arrivò via po-sta mesi dopo il nostro incontro e che conteneva lo sbobinamento delle no-stre lunghe conversazioni.

Da allora il fantasma non si fece più vedere né sentire, lasciando a Ludo e Carlo il duro compito di interpretare prima le distorsioni da dettatura del testo e, in seguito, gli scarabocchi della mia scrittura con i quali cercai di integrare parte delle mie confessioni mancanti.

Alla fine toccò all’ottimo Vitaliano Tomaselli raccogliere le mie ultime chiac-chiere, mentre Ludovica e Carlo dovettero mettere in ordine il testo in bella forma grafica ed è stato grazie al loro impegno che ho potuto raccontare in questa sorta di diario alcune esperienze di novant’anni di vita mescolate a un distillato di mie riflessioni, il tutto servito sullo sfondo di un panorama di me-morie, eventi vissuti, personaggi incontrati o semplicemente visti da lontano.

Ricordo ad esempio le ganasce istrioniche del Duce affacciato al balcone di palazzo Venezia o l’aver baciato le mani diafane di Pio XII in occasione di un’udienza con la mia scuola, il liceo Massimo di Roma, oppure il contrasto tra la limpidissima voce della Callas in scena nella vecchia Opera House della “windy city” con un quasi baritonale romanesco “aò” durante una cena in suo onore sempre a Chicago. Oppure ancora: la flebile ma stentorea elocuzione di un ormai senescente Frank Lloyd Wright, immerso nelle sue architetture in una Taliesin innevata e pastorale; l’imponente e intimidatoria figura dello scià Reiza Pahlavi assiso sul trono nella Sala degli Specchi mentre, fuori dal palaz-zo, Teheran iniziava ad atteggiarsi a brutta copia di Manhattan; la fascinante, persuasiva New England voice del giovane J.F.K.; le nostalgiche note di “Lily Marlene” cantata dalla rauca voce della grande Dietrich e la voce glabra di Laura Betti in una fumosa trattoria della Roma dei contestatari anni Sessanta; il labbro pendulo di Vincent Minnelli sul set di una Trastevere ancora traste-verina o mio fratello Manfredo che filmava Fellini il quale, a sua volta, scatta-va foto di location per La dolce vita. E poi il profumo di pane caldo dei forni interrati del ristorante Kansalar, all’epoca fermamente ancorato al tradizionale mondo persiano; il fumo e le fiamme di una flambe di râble de lièvre aux groseilles all’Aux Armes di Bruxelles; il sapore di scoglio dalla scodella fumante di moules marinière sulla spiaggia di Ostenda con un sottofondo di grida di gabbiani su un mare color cioccolato, in compagnia di una bellezza botticelliana…